La cornice del Campidoglio per re, regine, capi di stato, attori e registi. Testo di Dacia Maraini

Quanti re e regine hanno visto le pietre del Campidoglio! Quanti presidenti, ministri, governatori, ambasciatori, cancellieri, principi! Molti di loro sono morti. Eppure hanno lasciato delle impronte preziose sulla carta di queste fotografie che oggi ci parlano attraverso i loro chiari e i loro scuri: il presidente degli Stati Uniti John Kennedy, il presidente dell’URSS Nicolai Podgorny, il primo ministro indiano Indira Ghandi, il sindaco di Parigi Jack Chirac, il cancelliere Adenauer, il presidente Charles De Gaulle, il principe Ranieri di Monaco, il presidente palestinese Jasser Arafat. E tra quelli vivi: la Regina Elisabetta d’Inghilterra, il re del Belgio, il re di Spagna, la regina Beatrice d’Olanda, il presidente Clinton, il grande Nelson Mandela e tanti altri ripresi nel momento dell’accoglienza da parte delle autorità italiane.
Accanto a loro si ricordano i sindaci di Roma che si sono succeduti negli anni: Petrucci, Santini, Cioccetti, Rebecchini, Tupini, Derida, Signorello, Carraro, Vetere, Petroselli, Argan, Rutelli, Veltroni. Una catena di menti umane che hanno contribuito a rendere la città quello che è oggi, nel bene e nel male.
Ma i ritratti più commoventi sono quelli degli artisti che Roma ha scovato, amato e lanciato nel mondo. Cominciando da Anna Magnani, la famosa Nannarella dagli occhi vellutati e la voce roca che ci ha fatto sognare e che forse più di ogni altra creatura ha espresso l’anima di una città ferita dalla guerra, vogliosa di crescere, nello stesso tempo disperata ed esultante. La foto la ritrae mentre legge alcune poesie di Trilussa nel 1951. Indossa una pelliccia e la sua faccia è assorbita dal difficile compito di restituire il ritmo musicale di un poeta molto romano. Il fotografo, quasi in soggezione, sembra non avere avuto la possibilità di mettere in evidenza la potenza espressiva dell’attrice, quel temperamento vulcanico per cui era famosa. L’immagine è rinchiusa in una cornice cerimoniale che la esalta e la mortifica nello stesso tempo.
In un altro scatto, una piccola scultura della lupa che allatta Romolo e Remo viene consegnata a Claudio Villa. Sorridente, il cantante più popolare d’Italia, riceve il dono dal sindaco Derida. E ci pare di udire la sua voce che esce dalle vecchie radio che troneggiavano nelle case delle famiglie italiane, anche le più povere. Quante generazioni sono cresciute col sottofondo della voce melodiosa e antiquata di Claudio Villa!
Su un’altra foto ci appare un Verdone giovanissimo, accompagnato dalla bella e sorridente Eleonora Giorgi. Era l’anno 1982 e l’attore satirico prendeva il premio David di Donatello. Sopra di lui incombe una statua romana. A ricordarci che il Campidoglio ospita splendidi ricordi della Roma più fastosa: statue, vasi, sarcofagi di grande bellezza.
Petroselli è stato forse il sindaco più dinamico che abbia avuto Roma, quello che ha colpito l’immaginazione di una città distratta e indolente. Un sindaco comunista non si era mai visto né concepito. Eppure fu rapido nel rimboccarsi le maniche e prendere in mano una Roma soffocata dal malaffare per ridarle dignità e chiarezza. È riconosciuto il suo vigore nel risanare le borgate ai margini della città, nel favorire la nascita di nuovi parchi archeologici, nell’iniziare i lavori della metropolitana, nella moltiplicazione dei servizi sociali per gli anziani, per i bambini, per i disabili. Tanto fece per la sua città, che ci lasciò la salute e pure la vita. I romani lo ricordano con affetto.

Non può mancare l’attore più popolare del paese: Alberto Sordi. Qui seduto sui gradini di pietra, in abito da semicerimonia, gli occhiali da sole sul naso, un sorriso enigmatico sulle labbra. Il cinema italiano si è nutrito di lui e lui ci ha regalato, attraverso la fantasia grandiosa di Fellini e di altri importanti registi, tanti personaggi che rimarranno nella nostra memoria per la forza emblematica che sprigionano. Il romano, anzi l’italiano che Sordi ha interpretato in tanti film è diventato un archetipo, proprio come una delle grandi maschere della Commedia dell’Arte, fisso nel tempo, immutabile e continuamente in moto, per la vitalità che riesce a esprimere: che si trattasse di un vigile un po’ tocco, di un figurante del cinema che si innamora di una aspirante attrice, di un cittadino sospettato di un delitto mai compiuto, di un artigiano balordo del Seicento o di un furbissimo principe del Settecento.
Non mancano i grandi artisti nati in città lontane che hanno preso casa a Roma. Uno di questi era Edoardo De Filippo. Qui lo vediamo nell’atto di ricevere un premio e quindi tutto chiuso in un abito grigio, con tanto di cravatta. Lui che amava andare scamiciato, indossando maglioni sbrindellati, lui che giocava a fare il popolano povero quando era un artista conosciuto in tutto il mondo. Non si può non ricordare la sua voce calma, riflessiva e ironica mentre sul palcoscenico riportava alla luce i caratteri più profondamente umani del nostro Sud.
Ma che ci faceva Gregory Peck vestito da cardinale nelle sale ricche di quadri preziosi dei soggiorni municipali? Il fotografo lo coglie mentre viene festeggiato assieme alla troupe di ‘Vatican Story’, film di cui non si conservano grandi ricordi, ma che ha avuto il merito di proporre alla nostra città un anziano Gregory Peck, ancora pieno di fascino e di voglia di vivere. La foto ci ricorda che nonostante gli anni, Gregory Peck ha conservato fino all’ultimo una grande capacità di seduzione.
Jerry Lewis in tutto questo tira fuori la lingua, seduto su una scomodissima sedia capitolina, tenendo le mani aperte su una greca incisa in un tavolo prezioso. Siamo nell’84. E forse quel fare linguacce è una provocazione che arrivava giusta in un clima troppo paludato e istituzionale.
Ma guardate chi c’è: Federico Fellini! Non poteva mancare. Ha già i capelli bianchi il maestro. E ci fa tenerezza. Perché non è da lui invecchiare. Il bambino che portava nelle viscere, protestava. In effetti Fellini ha conservato, nonostante la fama internazionale, nonostante il corpo che si ingrossava e i capelli che si facevano sempre più radi, una voce da bambino, soave, aggraziata, a volte dispettosa, sempre pungente e veritiera, anche quando raccontava con tono paterno le più grandi bugie del mondo. Spiritose invenzioni, le chiamava Goldoni. Sapeva favoleggiare davvero bene il nostro amato Federico. Non ci si stancava mai di ascoltarlo. Nella fotografia riceve il Premio Davide di Donatello. Accanto a lui uno scamiciato e corrucciato Nanni Loy.
Poco più avanti Monica Vitti, in un elegante tailleur chiaro si volta a ringraziare. È bella come l’abbiamo vista nei sognanti film di Antonioni. Dietro di lei si intravede un vigile dai baffetti malandrini. La testa romanesca dai capelli un poco troppo lunghi sul collo, “impalla” come si dice in gergo cinematografico, un’altra testa di marmo, forse un profilo medioevale. Che si tratti di Dante?
Ricordo che un certo giorno, intorno agli anni ‘90, si sparse la voce che Monica Vitti fosse morta. Non era vero, per fortuna. Era vivissima e piena di impegni. Ricordo che lei spiritosamente rise di quella voce. Disse che era un augurio di lunga vita. E in effetti la sua vita si annuncia lunghissima. Eppure quella voce era stata in qualche modo premonitrice. Perché la bella ed enigmatica Monica che prima ci ha incantati con i suoi silenzi misteriosi e poi con le più scatenate farse dagli schermi di tutta Italia, ormai da anni vive come una sepolta viva, senza dare più segni di sé.
Accanto a lei Lina Sastri, una moderna e intelligente attrice di teatro che continua a darci emozioni e sorprese. Quasi vorremmo stringerle la mano e darle un bacio sulle guance per il suo presentarsi sempre fervida e appassionata in questa carrellata di gente perduta al presente.
Non potevano mancare due icone del cinema italiano: Gina Lollobrigida e Sophia Loren. Cosa sarebbe il cinema italiano, il neorealismo certamente, senza le loro immagini! Quanti dei loro film si continuano a proiettare e ammirare. “Pane amore e fantasia” fra i più amati, ci mostra una Lollobrigida fresca e intensa che nelle vesti di una contadina intraprendente, ci racconta l’Italia del dopoguerra. Vicina a grandi attori come De Sica, Gassman, Manfredi. Non può che farci tenerezza quel mondo di asini e piedi scalzi, di biciclette e corteggiamenti discreti. L’Italia di Peppone e Don Camillo per intenderci. L’Italia delle piccole automobili Fiat e delle prime Olivetti portatili, l’Italia delle grandi mangiate e degli sposalizi in chiesa. Cosa è rimasto di quell’Italia lontana? Soltanto delle brillanti fotografie? O anche una sapienza ben radicata che ci ha fatto diventare più ricchi e più alti? Una Italia ferita dalla guerra, che aveva una gran voglia di crescere e maturare. Forse in queste fotografie mancano alcuni personaggi senza i quali la nostra memoria degli anni passati rivela dei buchi. Parlo di Totò, di Pasolini, di Franca Valeri, di Visconti, di Villaggio, del penultimo sindaco Rutelli che ha aiutato i romani a conoscere e amare la propria città.
Sophia Loren, con le sue movenze sofisticate, ci conduce in un’atmosfera internazionale anche quando fa la ciociara che urla contro i marocchini che le hanno violentato la figlia. Il suo nomadismo la porta lontana, fino a incontrarsi con Charlie Chaplin che la sceglie come protagonista di un suo film. La foto in esposizione rivela il suo largo e perfetto sorriso. È vestita di nero e porta al collo una gigantesca croce di diamanti, un gioiello che vuole ricordarci, ma senza fanatismi, le radici popolari e meridionali della grande attrice. Accanto a lei l’ultimo sindaco di Roma, Veltroni. Grande lavoratore, mediatore sorridente, capace di dimenticare ogni ambizione politica per andare di persona a conoscere i derelitti dell’Africa nera. Capace di prendere con sé gli studenti delle scuole e portarli ad Auschwitz, per riflettere sugli orrori della Shoah. Un idealista, un sognatore oppure un abile e indomito amministratore? Ciascuno dice la sua. Ma nessuno contesta la sua lealtà, la sua straordinaria capacità di lavoro, il suo disinteresse.
E poi: Vittorio Gasmann, accanto a Liv Ulman. Chissà se era già tormentato dalla depressione che gli ha accorciato la vita. L’uomo alto e bello di cui si innamoravano tutte le attrici con cui lavorava, sia in America che in Europa. L’uomo dalle grandi ambizioni e i sogni di un bambino. Sul fondo della foto distinguiamo Rosi e in primo piano anche Scola, due registi che hanno partecipato a rendere grande il cinema italiano nel mondo.
E ancora: Luigi Proietti, Giulietta Masina, Massimo Ghini, Roberto Benigni. Quest’ultimo sorridente, a braccetto con Lello Arena nel lontano ‘83, ancora forse non così popolare, ma già pieno di progetti e di invenzioni esilaranti che scavano in profondità. Si sente la mancanza di Marcello Mastroianni, altro archetipo del maschio italiano, rimasto impresso nelle nostre rètine con il suo passo ciondolante, la sua indolenza romana, il suo sorriso triste, la sua voce chioccia e sensuale. Ci manca solo lui per completare questa panoramica malinconica e felice, di una Roma scomparsa eppure ancora presente. Una Roma pronta a regalare, a sognare, inventare, a intraprendere grandi progetti per poi abbandonarsi alle più antiche pigrizie. Pur conservando sempre una stupefacente capacità di stare coi piedi per terra e ridere di sé.

Dacia Maraini