Psiche svenuta

Autore: Pietro Tenerani (1789-1869)
Datazione: 1822
Collocazione: al centro della stanza
Tecnica e materiali: gesso
Dimensioni: altezza cm 113, base cm 46x102
Inventario: MR 43327
Provenienza: Collezione privata Tenerani; Alix de Saisy, vedova d'Honincthun donazione 1941
 
Descrizione
La scultura ritrae una fanciulla alata, completamente nuda, seduta su uno sperone di roccia. Il busto è leggermente inclinato verso sinistra, direzione accentuata anche dalla posizione del collo e del volto, mentre i fianchi sono parzialmente coperti da un leggero drappo, che ricopre solo la gamba destra, il cui arto inferiore, insieme a quello sinistro, è piegato e adagiato sul lato opposto. La figura è colta nel momento che precede lo svenimento.
Il passaggio verso l’improvvisa perdita di coscienza è reso attraverso un attento studio della posizione del corpo: il volto con gli occhi chiusi è languidamente girato verso sinistra; la testa che sembra quasi per prima abbandonarsi a questa condizione diventa troppo pesante per l’esile collo che si piega; il braccio destro è adagiato in grembo mentre l’altro si allunga appena per poggiare la mano sullo sperone roccioso, un debole e vano tentativo per contrastare questa sensazione di vuoto.
La posizione seduta appare instabile, perché le ginocchia piegate sfiorano il terreno e non contrastano il lento scivolare del corpo. Le due gambe, quella sinistra, nascosta dall’altra è arretrata rispetto a quella destra che si allunga leggermente e avvolta completamente dal leggero drappo lascia scoperto solo il piede, unica parte che sporge dalla base.
Della bellezza del corpo adolescenziale l’artista sottolinea la grazie e l’eleganza delle forme ancora acerbe: le braccia e le gambe tornite, i seni contenuti ma pronunciati, i lineamenti perfetti e delicati del volto, incorniciato da una semplice capigliatura raccolta in una lunga coda fermata in basso sulla nuca (legata come a formare una crocchia), di cui la parte finale scende morbidamente fino a sfiorare le spalle, mentre morbidi e corti riccioli ornano la sommità della fronte.
Del soggetto mitologico resta un paio di piccole ali semichiuse, collocate nella parte alta delle spalle, simbolo della leggerezza dell’anima, e il vaso per unguenti, posto a sinistra davanti allo sperone di roccia, che appare rovesciato, un preciso riferimento all’episodio narrato da Apuleio in cui la sua apertura ha prodotto lo svenimento della fanciulla, perché conteneva sostanze soporifere.

Notizie storico-artistiche
Il soggetto è stato ampiamente trattato dallo scultore toscano Pietro Tenerani , che nel 1817 ha realizzato la "Pische abbandonata" (oggi conservata alla Galleria d’Arte Moderna a Palazzo Pitti, Firenze), per la quale ottiene il primo riconoscimento internazionale.

Nel 1823 gli viene commissionata la psiche svenuta di cui si conserva il gesso a Palazzo Braschi  insieme ad altri bozzetti in cui è rappresentata in pose diverse.

Il tema della "Psiche svenuta” è tratta da un episodio delle “Metamorfosi” di Apuleio (libro IV, V e VI), principale fonte letteraria del mito, nel quale si racconta che Psiche, fanciulla mortale, viene data in sposa ad Amore, figlio di Venere, a condizione che non veda mai il volto del dio. La fanciulla trasgredisce, preoccupata che si possa trattare di un mostro, come è stato detto nel vaticinio, ma rimane felicemente sorpresa nello scoprire che accanto a lei giace un bellissimo giovane. Scoperto il tradimento Amore si separa definitivamente da lei.

Allora Venere, spinta sempre dalla gelosia per la sua bellezza, decide di punirla infliggendole quattro prove terribili, che Psiche riesce sempre a superare, come l’ultima in cui scende agli Inferi da Proserpina per mettere in un vaso un po’ della sua bellezza. Ma durante il suo ritorno Psiche disobbedisce all’ordine della dea aprendo il vaso, da cui si sprigiona un vapore che la stordisce: “c’era solo del sonno, un letargo mortale che la avvinse non appena aprì il coperchio e che si diffuse nel suo corpo come una nebbia pesante, facendola addormentare sul sentiero in cui si trovava. Psiche giacque immobile, come morta, in un sonno profondo”.
E’ questo l’attimo che lo scultore vuole cogliere, in cui l'infelice fanciulla, sentendosi venire meno, si appoggia a una roccia mentre lentamente si accascia a terra con gli occhi già chiusi e con la testa reclinata.
Oreste Raggi, biografo dell'artista, dopo aver descritto l’opera con minuzia ne spiega anche il contenuto allegorico. Infatti la posizione di Psiche che giace su un piano in salita indica la sua proviene dagli Inferi e diventa anche l’immagine del difficile cammino dell’uomo e della sua anima umana, di cui la giovane ne rappresenta il simbolo.
La storia drammatica - grazie all’aiuto compassionevole di Giove che la risveglia - si conclude con il riavvicinamento dei due bellissimi amanti, suggellato dalla nascita della figlia Voluttà.
Il volto e il corpo aggraziato rimandano alla precedente "Psiche abbandonata", la cui somiglianza ha fatto pensare che lo scultore abbia ritratto la medesima modella, forse proprio Vittoria Caldoni, la giovane contadina di Albano che, in quegli anni, aveva affascinato il mondo artistico e culturale romano per al sua bellezza, di cui l’anno precedente Tenerani ha realizzato il busto.
Questa ipotesi potrebbe trovare sostegno in una lettera di Pietro Giordani inviata a Firenze il 1 novembre 1826 a madama Adelaide Calderara Butti ( dal titolo “ La prima psi¬che di Pie¬tro Tenerani a ma¬dama Ade-laide Cal¬de¬rara Butti”, in ”Antologia, giornale di scienze, lettere e arti”, Firenze, 1836), in cui racconta come la passione di Pietro Tenerari per la fanciulla sia stata fonte d’ispirazione per la prima opera, “Psiche abbandonata”, e sottolinea come nel modellarla sia riuscito a cogliere il suo stato d’animo di fanciulla, che incarnare perfettamente quello della figura mitologica: “Timido e tenero è il dolore di costei; bellezza tanto non insidiosa o superba, e tanto semplice, quanto è tenera l’età: non saprebbe ancora d’esser bella, se primieramente noi credeva all’unico amato, che poi la tradì. Ella viene in questo affanno fiero novissima; poiché era tanto inesperta di patire quanto di offendere: e nella mente confusa da questa prima e improvvisa percossa, va cercando trasognata come e perché tante care dolcezze fuggirono. Ella taciturna, e a capo chino pensosa, spenta d’ogni allegrezza che riluceva in quell’angelico volto, e in vista più vogliosa che ardita di piangere, né al Cielo né agli uomini chiede vendetta, neppure aiuto o pietà”.
Sebbene nello stile di Tenerani la vicinanza con il neoclassicismo del maestro danese Bertel Thorvaldsen, di cui a lungo frequentò lo studio romano, emerga nell’idealizzazione del volto, la naturalezza e la sensuale interiorità, che traspare nel modellato, sono i primi segnali del nuovo gusto romantico che porterà l’artista nel 1842 a firmare il manifesto “Del purismo nelle arti” redatto da Antonio Bianchini, a cui aderirono Friedrich Overbeck, Tommaso Minardi e lo scrittore Pietro Selvatico.